La sensazione di vivere insieme senza “essere” insieme è forse oggi la più terribile solitudine. E se la persona, mai come oggi, ha preso coscienza della propria solitudine come incapacità di comunicare con gli altri, l’importanza di riconoscerla in sé e di esserne consapevoli, è invece quasi sempre sottovalutata. Più comune è rifugiarsi nel fruscio dei soldi, nel frastuono delle discoteche, nel fascino dei tropici, o peggio… E nel cuore rimane la sensazione che niente basta a colmarne il vuoto. Solitudine, così, è forse la parola cardine su cui gira tutta la problematica dei rapporti umani contemporanei, un malessere molto ‘democratico’: non risparmia nessun gruppo sociale e nessuna età.
In alcuni momenti di sconforto sono in tanti a cercarla, quasi per allontanarsi dalla propria incapacità di amare. Poi, però, pesa. E allora in un quotidiano pieno di input sollecitato da tecnologia e modelli che mutano incessantemente e confondono, si cerca di negarla. Ci si illude di annullarla con il cellulare a portata di orecchio, la TV accesa, il chattare in internet…
È significativo, comunque, che il riconoscersi soli chiami sempre alla comunità… Poi però, come qualcuno ha detto, quando si ha una comunità si ha anche un problema; nel suo spazio infatti vive sempre la persona con la quale meno vorresti vivere. E in rapporti qualitativamente deboli, come essere sicuri di agire con la libertà di ‘essere ciò che si è’, o, più realisticamente, ‘ciò che si pensa di essere’? Certo è che leggere con coraggio in sé la solitudine e decifrare le sofferenze che ci provoca può aiutare a capire ciò che davvero si desidera o ci si aspetta dagli altri. Può offrire una prospettiva nuova nel guardare alla realtà intorno. Un atteggiamento da sapientoni, per esempio, crea intorno alla persona che se ne riveste, solo separazione ed esclusione. L’handicap della vita insieme certamente non è il sapere, ma come lo si usa…E chiudere la bocca a chi proclama idee scomode è solo un modo di sottomettere a sé l’intelligenza di chi è ritenuto sottoposto.
Nel cammino per incontrare davvero se stessi e gli altri, è necessario imparare a mantenere la giusta distanza da alcune insidie molto pericolose, che alienano la persona dall’umano autentico. Per esempio, l’istinto a cercare l’approvazione e la rassicurazione di qualcuno, come fosse garanzia che ciò che si fa o si dice è giusto. Questa è una tendenza presente proprio in tutti; ma rivela solo un abdicare infantile alla responsabilità delle proprie azioni.
Altra insidia è la pretesa di affrettare la realizzazione di se stessi e il compimento di ciò che si è, come se questo dipendesse solo dai propri sforzi. Ma è e rimane puro dono che viene secondo i ritmi e i tempi del Donatore. All’uomo è dato unicamente di attendere e accogliere il dono, sapendo che il modo in cui si vive il rapporto con gli altri è ciò che dice la verità della propria fede.
Luciagnese Cedrone ismc