Non si finisce mai di conoscersi quando ci si misura con i cambiamenti delle ‘stagioni’ che segnano l’avventura umana. Diceva bene Rita Levi Montalcini (scienziata orgogliosamente atea!) quando invitava a non temere i momenti difficili, perché -spiegava- “il meglio per la persona scaturisce da lì”. In realtà lungo il sentiero della possibile crescita umana si annidano tanti ‘falsi Sé’ che facilmente portano ognuno a deviare verso pozzanghere di sfiducia, ansia, ripiegamento su di sé… Il fardello più pesante da portare nel quotidiano è proprio questa chiusura, che isola e porta a scegliere diffidenza e solitudine. Certo non serve avere ragione se si è arrabbiati e scontenti. È necessario invece re-iniziare il viaggio verso il proprio vero ‘Sé’.
In tal senso, lezioni diverse, sempre efficaci e preziose, si possono raccogliere dal trovarsi a inciampare in imprevisti e sorprese dolorose.
Nella nostra epoca di crisi, per esempio, l’ossessione del progresso economico rende indesiderabili coloro che costano e non producono; ‘crea’ classi di persone ‘inadeguate’, perciò ‘eliminabili’; si chiudono le frontiere e il cuore al migrante, alla persona in stato vegetativo, al feto imperfetto, al malato, al vecchio, al vicino antipatico, a chi è nemico o semplicemente estraneo… E l’assuefazione ai nuovi orrori rende accettabile l’inaccettabile. Si trascurano così quei riflessi automatici del cervello umano, che si innescano solo quando ci si identifica con gli altri. Ne sono convinti oggi sociologi, scienziati, economisti: fonte di evoluzione per la persona umana è la capacità di sentire le emozioni dell’altro come fossero proprie, e non – come si pensava in passato- l’eliminazione dei più deboli. Nessuna vita è mai inutile e le pietre scartate in realtà sono pietre angolari, dal momento che ognuna porta l’impronta della mano di Dio.
Si nasce per dare alla luce quel meraviglioso umano, che dorme in ognuno insieme all’insostituibile bisogno di donare e ricevere sicurezza, affetto, trascendenza… Umano che è ‘svegliato’ dall’esperienza del limite. Lasciarsi trovare da tale Verità è l’unica ‘cosa’ per cui vale la pena di vivere. Con la bussola interiore orientata sull’inquietudine di Dio, non ci si smarrisce nel cinismo e nel declino. Si sperimenta invece che nella vita insieme non è necessario difendersi, o provare che si è meglio di qualcuno; la tendenza ad affermarsi sopra gli altri e la pretesa di sapere già abbastanza si pacificano; e finalmente si depone l’atteggiamento del giudice per impegnarsi solo ad amare le realtà che s’incontrano, anche nella loro pochezza.
Le comunità – dove si rivelano insieme le povertà di ognuno e l’essere amati proprio come si è – sono lì: un pozzo di tenerezza per tutti e strumento privilegiato per realizzare una società più vera, più bella, più buona. Certo non si possono accogliere le ferite di un altro se non si riesce ad accogliere le proprie. Ma tutti siamo parte dell’unica umanità ferita, povera, amata e, grazie alla buona novella data ai poveri, capace di sperare.
Luciagnese Cedrone ismc