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La gioia di servire

Il servizio più difficile

servizioChiusi in se stessi non si scoprirà mai quel “Dio che gioisce e ride con l’uomo davanti ai caldi giochi del sole e del mare” (P.P. Pasolini), e che versa le sue lacrime nelle lacrime delle sue creature. Si troveranno invece solo distanza e solitudine. Perché “chi non sa ascoltare il proprio fratello presto non saprà ascoltare neppure Dio e sarà sempre lui a parlare anche con il Signore” (D. Bonhoeffer). In realtà se non si impara ad ascoltare si parlerà senza toccare il cuore dell’altro, finendo con il tempo per perdere anche la parola… In quante famiglie e comunità le persone si ritrovano a vivere ‘insieme’ lasciandosi travolgere dalla dinamica difensiva, dall’indifferenza, dalla rassegnazione…diventando culle di silenzio e di solitudini!
La gestione dell’affettività e dell’emotività in un contesto comunitario sembra essere un nervo scoperto della vita comune. Sotto molti aspetti ‘le età’ sembrano vivere oggi in ‘mondi diversi della stessa vita’ e le esperienze che ciascuno fa all’interno del proprio mondo appaiono per tanti motivi poco comunicabili. L’esperienza raccontata insomma non sembra più convincente. Come se contasse solo quella vissuta. Così ogni età si muove come se fosse assorbita dai propri incomunicabili problemi, che si rivelano diversi da quelli che in passato hanno prodotto conoscenze e sapienze…
Ma è veramente così, o ancora una volta è un fatto di comunicazione? Certo la distanza fra le generazioni oggi è diminuita, fino al punto che i modelli di ruolo educativo di cui disponiamo non prevedono quasi più una comunicazione di tipo bidirezionale e gli adulti tendono ad oscillare tra autoritarismo e resa. Certo non si dispone nemmeno di molta sapienza e quel poco che c’è non viene insegnato da nessuna parte. È grande perciò il bisogno di comunicarsi le esperienze fra le diverse generazioni. Tale situazione interpella in particolare la vita consacrata a farsi ambito e laboratorio di esperienze diverse.
Anche la solitudine e il silenzio possono condurre a seminare largamente. E la distanza di Dio – accolta come invito a ricercare Lui nella profondità di se stessi – si rivela un dono per l’uomo. Trovare uno spazio per Dio infatti permette di trovarne per la propria interiorità e per TUTTI. Diventa facile allora comunicare ciò che si sente dentro, le esperienze e la propria storia spirituale con la carica emotiva e affettiva che le accompagna.
Da Papa Francesco l’invito a interrogarsi: “Mi sono per così dire ‘accomodato’ nella mia vita cristiana, nella mia vita religiosa, nella mia vita di comunità, o conservo la forza dell’inquietudine per Dio, per la sua Parola, che mi porta ad ‘andare fuori’, verso gli altri?”. Il cuore reclama sempre – anche e soprattutto nei momenti più difficili – un di più di attenzione e di amore a ciò che ‘sale dal fondo’.
Luciagnese Cedrone, ismc
lucia.agnese@tiscali.it

Beato chi cerca a tentoni

beatochicercaLa vita non è che un’ombra in cammino, un povero attore che si vanta e si agita per un’ora sul palcoscenico e poi tace (W. Shakespeare). Ma un anelito di infinito e di significato abita il cuore di quest’ombra. Questo è certo. Nella fede si è coscienti di essere amati da Dio, capaci di fare cose belle e certi di essere chiamati ad amare e a sognare un mondo migliore. Si vive infatti per saziare quella sete d’amore che ognuno si porta nel cuore, come ha ricordato papa Francesco. Ciò che descrive la qualità più profonda e significativa dell’uomo è porsi la domanda fondamentale: …ove tende questo vagar mio breve?…che vuol dire questa solitudine immensa? ed io che sono? (G. Leopardi). Non è ancora fede, ma un’antica speranza, un’ansia ‘illogica’ di qualcosa d’impossibile. Ma “chi non osa sperare l’insperabile non lo raggiungerà” suggeriva Eraclito. Quando invece la luce discende nelle profondità della materia e nelle parti oscure dell’uomo, allora il suo essere – come succede a Tommaso davanti al Cristo risorto – si illumina e in lui risuscitano amore e bellezza. Beato è chi cerca a tentoni e non vede ancora, assicura Gesù. Per lui la vita non diventa più facile o più riuscita, ma certo più piena e appassionata.
In realtà, nessuno degli straordinari computer che gestiscono la nostra vita quotidiana, e cui guardiamo con devota deferenza, è complicato e oscuro quanto può esserlo il cuore di un uomo. Di tutti gli abissi, è il più profondo (M. Corradi). Quante volte si reagisce ad un problema dando la colpa ad un collega, agli altri? O si mette la testa sotto la sabbia perché in fondo “non possiamo farci niente“?Succede.E spesso non ce ne accorgiamo nemmeno. Lo facciamo nella speranza che quel problema sparisca o che magari qualcun altro se ne faccia carico. La verità è che i fatti non smettono di esistere per il solo fatto di ignorarli e di certo dare la colpa agli altri o alle situazioni non aiuta. Nutrire, invece, la propria vita interiore come si fa con le radici di un grande albero permette di intuire oltre le apparenze e le banali evidenze del reale. Nella fatica di esplorare la propria vita interiore alla Luce della Parola, però, nessuno può sostituire nessuno. Forse si può cercare di sostenere, incoraggiare. Sempre si può testimoniare. Nient’altro. È tanto facile – succede oggi ai più, e anche fra i consacrati – accontentarsi di vivere una vita ‘a metà’ evitando le domande importanti e cercando di sopravvivere a giorni sempre uguali a se stessi, che corrono inarrestabili uno dietro l’altro? Solo la struggente Luce interiore permette di comprendere che cosa sia la fede.
Luciagnese Cedrone ismc

Feriti e amati

Il servizio più urgente
La vita pretende che viviamo insieme e ogni essere umano è chiamato a crescere insieme agli altri… proprio quello che a tutti, proprio a tutti, riesce tanto difficile. In una società, poi, ‘liquida’ come l’attuale, sempre accelerata e fugace nei contatti reciproci e continuamente tendente alla depressione o alla competizione più o meno violenta, vivere e crescere insieme richiede ancora più coraggio. Così solitudine, bisogno di ascolto e di senso crescono a dismisura… Da tale contesto storico, ai cristiani – e fra loro, a maggior ragione, ai consacrati – viene la sfida evangelica ad abitare il mondo reale di oggi; a lasciarsi dinamizzare dai suoi appelli e non limitarsi a giudicare e lamentarsene. Il giudizio è solo separazione. Il servizio più urgente invece – ce lo ricorda spesso papa Francesco – è “essere modello di fraternità per tutti nella ‘diversità”. E, indicando una delle tante vie concrete lungo tale percorso: …se hai qualcosa contro il fratello, glielo dici in faccia: a volte finirai a pugni, ma meglio questo che il terrorismo delle chiacchiere.
Il mondo ha urgente bisogno di proposte solide e di senso che vengano da volti felici e da ambienti dove i rapporti umani siano attenti, autentici e caldi. Chiede testimoni della forza umanizzante del Vangelo, che si sentano amati – pur nella propria povertà – dal Dio di Gesù Cristo; consapevoli che respirare quotidianamente la sorgente della Gioia è la forza per amare tutti con la tenerezza e la delicatezza di Cristo.
Priorità oggi, quindi, è creare spazi di vita dove sia possibile riappropriarsi – o apprendere – l’attenzione al volto umano di ognuno troppo a lungo trascurato e che va recuperato… Anche nella vita consacrata, anche nella formazione ad essa.
La vecchia storia degli uomini di tutti i tempi è rifiutare la diversità. Ma “le diversità di ciascuno – assicura G. Crea – sono pietre angolari per un modello di comunione basato sulla logica del Vangelo”. E la capacità di riconoscere e apprezzare le reciproche diversità è la possibilità di contribuire alla costruzione di un benessere davvero comune, che vada al di là degli interessi individualistici. Il problema vero, però, per riuscirvi è rimettere al primo posto l’ascolto di ciò che avviene nel profondo di sé e nelle pieghe della propria vita. “Quanto più fedelmente porgerai ascolto al tuo intimo, tanto meglio udrai ciò che risuona all’esterno. E solo chi ascolta può parlare.” (D. Hammarskjold). Verso la ‘verità’ si cammina passando attraverso il «vero» di se stessi, il solo che apre alla scoperta delle meraviglie e del mistero di ogni persona che ci vive accanto. E consente finalmente di entrare nel lungo processo del perdono che guarisce.
Luciagnese Cedrone ismc

Felicità in cammino

strada2Perché ‘Gioia di servire’? Il tema è sicuramente impopolare oggi e così diverso dai ‘valori’ che la società moderna propone. Papa Francesco a più riprese richiama sul fatto che la salute di un cristiano si vede dalla gioia. Ma non basta certo avere l’idea chiara di felicità per sapere come viverla secondo lo stile del Vangelo. Neppure è sufficiente affermare sono felice con Dio e questo mi basta perché la vita sia felicemente consacrata. Parole e propositi si misurano e si verificano nel vissuto quotidiano con gli altri e per gli altri. Certamente in ogni tappa del cammino, per tutti – credenti e religiosi compresi – rimane il rischio di cadere nell’individualismo che oggi chiude la vita interiore nella ricerca spasmodica dell’avere per sé o per brillare agli occhi degli altri. Il che finisce per trasformare in persone risentite e senza vita. Certo è istintivo per tutti fare dei propri desideri l’assoluto e persino scambiare la fede con le proprie sicurezze… La domanda è se e come ci si lascia interpellare dal Vangelo; se davvero se ne fa il vademecum per la vita di ogni giorno e per le scelte che ognuno, nel proprio piccolo spazio, è chiamato ad operare. La via per entrare nella gioia di servire è fondarsi sulla umile scoperta – poi consapevolezza crescente e sconvolgente esperienza – che Dio ci ama. Lontano da Lui l’amore si fa sempre accaparratore.

La gioia di servire non può quindi prescindere dalla fatica di passare dall’egocentrismo alla relazione. È terribile essere amati per ciò che si fa e non per ciò che si è: fa immaginare che “le persone intorno a noi guardino sempre e solo il ‘brutto’ che è dentro di noi; e questo sguardo è intollerabile” (J. Vanier). Allora ci si difende, si diventa duri, persino violenti. In ognuno c’è qualcosa di straordinariamente bello e integro. E di tutto questo il nostro mondo ha estremo bisogno perché in fondo al cuore di ognuno, più a fondo di ogni ferita, c’è un bambino in cerca di tenerezza… Dio, basterebbe una piccola scintilla di pura amicizia – e si sarebbe salvi; di amore – e si sarebbe redenti. Una mano tesa, un volto, uno sguardo aiutano a ritrovare l’immagine positiva di sé. Ma se la ‘mano tesa’ che dice ‘ti voglio bene’ non è sincera o non è fedele; se dice ‘ti amo’ solo perché lo ha imparato sui libri o semplicemente perché si ritiene autorizzata a dirlo, allora quel ‘bambino’ non oserà più prendere la mano che gli viene tesa e gli sarà insopportabile sentire qualcuno che dice: abbi fiducia!

È decisivo sapere quale padrone si serve, a chi ci si affida perché il Regno della gioia si sviluppi e cresca e diventi un grande albero alla cui ombra tanti possano trovare ospitalità.

Luciagnese Cedrone, ismc